Descrivere le immagini con le parole perchè anche ciechi e ipovedenti le possano vedere

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Recentemente mi sono trovato a descrivere una foto scattata da una fotografa non vedente, con lo scopo di fornire informazioni leggibili da uno screen redader in modo che anche altri non vedenti possano ‘vedere’ l’immagina e che, eventualmente, la fotografa stessa possa avere un riscontro su cosa è impresso nei suoi scatti, scoprendo cosa comunicano a chi li osserva.
Solo dopo aver scritto il commento mi sono chiesto:

Ma come si dovrebbe descrivere un’immagine se lo scopo è quello di farla visualizzare ad un cieco?
Quali sono le informazioni importanti? Cosa si dovrebbe tralasciare? Quali sono i dettagli che consentono di ricreare una riproduzione visuale nell’immaginazione del non vedente?

E’ evidente che è tutto molto soggettivo.
Da una parte il modo di descrivere, le parole utilizzate, le similitudini, gli accostamenti, le definizioni sono strettamente legate all’esperienza di chi descrive, dall’altra è molto individuale il modo in cui si riescono a visualizzare le immagini. Questo è legato al tipo di cecità, totale o parziale, all’età a cui si è persa la vista, agli anni trascorsi da quando non si vede più, oltre che ai gusti personali, sia in termini di colori, che in termini sinestetici.
Per esempio, come si trasforma un’informazione su un colore in due soggetti che hanno una percezione sensoriale diversa della parola?Prendiamo l’arancione, potrebbe essere associato alle arance in un caso, e quindi ad un gusto fresco, al pericolo in un altro caso e quindi comunicare due sensazioni diverse, che in questo caso si trasformerebbero in due ‘fotografie’ diverse.
Per avere il risultato migliore e quanto più oggettivo possibile, bisognerebbe disporre di una vasta gamma di descrizioni diverse, eseguite in modo indipendente
Se alcuni aggettivi sono più ricorrenti, probabilmente si avvicinano ad una sorta di verità universale

In un articolo scritto da Georgina Kleege, Blind Imagination: Pictures into Words (Immaginazione cieca: Immagini in parole) (leggilo qui in inglese), viene trattato il tema sottolineando alcuni aspetti interessanti.

Nel cinema i registi curano in ogni dettaglio le immagini che creano per ogni scena, ponendo attenzione all’illuminazione di ogni oggetto in primo piano così come allo sfondo, cercando di creare scenari che consciamente o inconsciamente colpiscono l’osservatore. Descrivere le scene ad un non vedente potrebbe ridursi a carellate sommarie e l’idea stessa che tutto ciò che è ricchezza visiva potrebbe essere ridotto a poche frasi descrittive, potrebbe anche irritare i registi.

Nella vita reale, proprio come le persone vedenti variano nella loro abilità a tradurre le immagini in parole, le persone non vedenti variano il livello del loro interesse nel campo visivo. Può essere che le persone che perdono la vista tardi nel corso della vita conservino ricordi visivi e quindi siano più avidi di dettagli visivi, mentre le persone che sono state cieche sin dalla nascita o dall’infanzia possono trovare questo tipo di informazioni meno significative.

Le migliori descrizione per non vedenti provengono da coloro che possono fare un passo indietro dalla immediatezza della propria esperienza e immaginare il mondo percepito con altri mezzi.
Ogni epoca e genere d’arte ha le proprie convenzioni, vocabolario, espressioni idiomatiche e sintassi; comprendere l’arte richiede una certa capacità di decodificare o tradurre gli elementi visivi in parole
Tuttavia descrivere le immagini non è utile o interessante solo per i non vedenti. A mio avviso è un passaggio diverso, un livello diverso. L’immagine diventa un’altra dopo averla descritta, anche per chi la sta descrivendo. La descrizione costringe a trasformare le emozioni, a leggerle, a codificarle. Costringe a lavorare con la fantasia, l’immaginazione, per cercare gli accostamenti che descrivono in modo più realistico una foto astratta, irreale, ritoccata, modificata.
La descrizione approfondisce, cambia la percezione. La descrizione trasporta la foto dall’inconscio al razionale.

Quindi se è vero che i ciechi non possono sempre sperimentare immagini senza parole, possono sperimentare parole senza immagini. Quando le parole sono ben scelte fanno succedere qualcosa nel cervello che non è del tutto visuale, ma è comunque vivo. E succede senza sforzo straordinario, Succede a me ogni volta che leggo un libro, come probabilmente succede a tutti i lettori, vedenti e non vedenti.

Se vi capita, quindi, spendente qualche minuto per descrivere una foto, soprattutto nei siti dove sicuramente passeranno dei non vedenti; potreste regalare un’immagine, un’emozione, anche a voi stessi.

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3 comments from the community

  1. devo intrapprendere per lavoro una descrizione di migliaia di manifesti pubblicitari. esistono dei criteri di descrizione che posso pener presenti perchè questo mio lavoro sia “visibile” anche da un nonvedente o ipovedente?

  2. Non ne sono a conoscenza, ma sarebbe interessante trovarli o, magari, cominciare a crearli.
    Ci potremmo provare? O sarebbe un progetto immane? Ma soprattutto, è possibile?
    Forse potremmo interpellare qualche semiotico….

  3. Ho contattato personalmente un esperto di semiotica, il prof. Giampaolo Proni, che scrive come segue:

    si tratta nientemeno che di tradurre sensazioni in simboli.
    Lei conosce i lavori di Oliver Sacks, tra i quali ‘Vedere voci’, sulle sinestesie dei non vedenti, cioè come un non vedente ‘pensa/vede’ gli oggetti del mondo.
    Per partire, dobbiamo sapere se il destinatario del nostro messaggio/testo, che sarà ‘trans-sensorializzato’, ha o meno una base sensoriale del canale di partenza. Intendo dire: vede -per es- i colori? Prendiamo il caso di un daltonico, che non ha difetti nella percezione delle forme (di per sé) ma solo di alcuni colori. Evidentemente, se per lui rosso e verde sono lo stesso colore, non potrò descrivere una sensazione come ‘un papavero rosso in un campo verde’.
    In ogni caso, nessuna traduzione in un codice lineare come quello della lingua potrà mai rendere un testo visivo, anche per un destinatario che sia perfettamente vedente. Si tratta di due semiotiche molto diverse. E’ molto meglio un codice tattile come il braille, che possa riprodurre la spazialità della visione, come un bassorilievo.
    Si tratta di un argomento comunque molto complesso e difficile.
    Giampaolo Proni

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