Quante volte ci siamo trovati ad essere scambiati per impostori o a sentirci non riconosciuti nelle nostre potenzialità o difficoltà? Capita a tutti, ma se sei ipovedente, potrebbe capitare più di frequente. Nadia Luppi, ipovedente, counselor ed esperta di disabilità, relazioni e processi inclusivi, ci spiega perché – a parere suo – l’ipovisione insegna anche quando si lascia fraintendere.
L’ho visto che camminava con il bastone bianco da cieco, poi d’un tratto, era lì che scattava una foto”.
Oh hai visto quello? Ha il bastone da ciechi per camminare sotto i portici e poi guarda il cellulare…”
Che maleducata, le ho sorriso lungo la strada e lei non mi ha nemmeno salutato, come se non mi vedesse”
Quel ragazzo finge… Fuori in strada usava il bastone bianco ma poi quando è entrato qui sembrava ci vedesse…”
Strano… Le ho offerto aiuto perché mi ricordavo che faticava ad orientarsi quel giorno. Ma lei mi ha risposto giusto ieri sera che ci vedeva, non aveva bisogno”
Camminava così spedito nel prato sotto il sole… Poi al limitare del bosco, mentre il cielo si annuvolava, chiedeva aiuto perché non vedeva nulla… Non sembrava nemmeno lui”.
Te lo giuro, è entrata nel ristorante guidata da un’altra donna. E poi era lei a leggere il menù a quella che l’aveva guidata!”
Non sono forse tutte situazioni che farebbero notizia sotto il nome di falsi ciechi?
Ah! Scandalo!
Invece sono solo alcune delle reazioni possibili davanti ad una disabilità tanto variabile e complessa quanto indecifrabile come è di fatto l’ipovisione.
Un limite che forse più di ogni altro muta, permette, ostacola o impedisce il naturale svolgimento delle attività quotidiane, dalla lettura agli spostamenti alle autonomie personali. E di fronte a deficit così mutevoli e privi di assoluti negativi a cui appigliarsi, è facile cadere nel fraintendimento e – purtroppo e troppo di frequente – nel giudizio negativo. Per ognuno dei fatti fraintendibili di cui sopra, c’è una spiegazione, ma non è questa la sede. Cercate storie su questo sito, camminate e viaggiate con noi e forse qualche mistero si chiarirà.
Mi trovo spesso a ripetere davanti ad altri ipovedenti, agli operatori del settore, a chi dovrebbe implementare strategie a favore della nostra inclusione sociale, che stiamo parlando di un deficit, o meglio di una condizione che non è facilmente comunicabile anche per questioni culturali e sociali contingenti: viviamo in un clima in cui nel dubbio, sospettiamo. Oggi forse più che in altre epoche storiche, davanti a quel che non capiamo o non conosciamo, abbiamo paura e a volte addirittura trasformiamo istantaneamente quella paura in rabbia, in ostilità, in presa di distanza. Ciò che è diverso perplime, spiazza, spaventa, e la retorica di caccia alle streghe in cui sembra di vivere a volte a queste latitudini, non aiuta. Ma c’è di buono che abbiamo sempre una scelta: sospendere il giudizio e metterci in ascolto. In questo l’ipovisione è maestra. Come vede un ipovedente non lo si capisce da fuori, con le congetture e i calcoli. Quante cose può imparare a fare un ipovedente, non lo si può prevedere con algoritmi e categorizzazioni. Gli ostacoli che possono bloccarci, quelli sì, in qualche modo possiamo intuirli, ma non sempre. Nel confrontarsi con una persona ipovedente, come con qualunque diversità, il primo passo, quello fondamentale, è ascoltare e fare domande. Siamo tutti diversi, ognuno di noi vede a modo suo, pur ricalcando certe tipologie e dinamiche quasi costanti in base a patologie e diagnosi. Ma state pur certi che quel che vale per me non vale necessariamente per un’altra persona con la mia stessa patologia. Se lo prendete come un gioco, tanto leggero quanto serio, il contatto con l’inter-regno di chi ci vede poco potrà servirvi da palestra per la vita. E siccome siamo tutti specchi, con buona pace delle nostre diversità, la palestra la facciamo anche noi nel momento in cui abbiamo specchi curiosi con cui confrontarci. Ogni volta che qualcuno mi fa domande sulla mia capacità visiva e mi chiede come faccio a leggere, a cucinare, a guardare un film, a fare step o muovermi così “liberamente” io ho l’occasione di guardarmi da fuori e riflettere su di me e sulle mie modalità di azione e di relazione.
La migliore risposta ai malintesi è l’incontro, ed è ovvio che non sto parlando di ipovisione soltanto. L’ipovisione, come ogni disabilità, non è un mondo a parte, ma al contrario può servirci da lente di ingrandimento (sorrido con voi vista la questione) per comprendere molte delle cose umane. Ma questa è un’altra storia… Di cui scriveremo ancora e presto.
Scriveteci le vostre storie!