Riflessioni di un viaggiatore con la Sindrome di Usher

di
6 marzo 2012

Le altre foto del viaggio

Recentemente sono tornato da uno stupendo viaggio in Marocco.

Era da un po’ di tempo che non facevo un viaggio da solo, ma negli ultimi anni ho viaggiato parecchio, soprattutto tra il 2008 e il 2010, quando sono stato per quasi due anni in giro per il mondo a bordo di un vascello di ferrocemento.
Durante la navigazione a bordo dell’Heraclitus non è stato difficile viaggiare in quanto ho dovuto imparare a muovermi dentro e fuori un ambiente limitato, per quanto sempre in movimento. Tuttavia in una barca l’attenzione deve essere sempre alta anche per chi ci vede bene.
In quel caso è stato quasi più difficile dal punto di vista uditivo perché è importante comprendere sempre gli ordini del Capitano e sentire eventuali segnali di allarme. Dopo aver individuato il mio modo di interagire con i compagni dell’equipaggio che erano a conoscenza dei miei limiti, ho imparato a muovermi e agire abbastanza agevolmente e indipendente.

Durante il periodo di viaggio con la barca mi sono preso alcune settimane di pausa, in periodi e Stati diversi per esplorare da solo Malawi, Mozambico, Sudafrica, Argentina, Brasile, Paraguay, Giamaica, Cuba. (Mappa dell’intero viaggio)

Prima di questo viaggio ero stato, sempre da solo, in Australia, Nuova Zelanda e Malesia.
Sempre da solo ho percorso a piedi il Cammino di Santiago, da Saint-Jean-Pied-de-Port a Finisterrae.

E ora il Marocco.

Da Agadir a Marrakech, 242 Km
Da Marrakech a Boumaln Dades, 315 Km
Da Boumaln Dades a Merzouga, 251 Km
Da Merzouga a Nkob, 227 Km
Da Nkob a Essaouira, 580 Km
Da Essaouira ad Imesouane ad Agadir, 189 Km
Per un totale di 1800 km (vedi la mappa dell’itinerario)

Cosa comporta essere un viaggiatore ipovedente e ipoacusico?

Premesso che sono un viaggiatore indipendente e che organizzo itinerari, tappe, trasporti e pernottamenti sempre da solo, uno dei problemi principali che si presentano prima della partenza riguarda il bagaglio.

Viaggio con uno o due zaini. Uno grande per vestiti, libri, asciugamano, sacco a pelo, ecc. e uno piccolo per mettere le cose più importanti e di valore, come documenti, macchina fotografica, diario, soldi.
In questo modo devo focalizzare la mia attenzione solo su quello piccolo. Se dovessero rubarmi quello grande, non sarebbe un grosso danno e non dovrei necessariamente al viaggio. La perdita di quello piccolo sarebbe disastrosa.
Per quanto abbia imparato a ridurre al minimo il carico, non posso rinunciare ad alcuni ausili che comunque sono pesanti. Ho sempre con me una piccola farmacia e un kit di primo soccorso per poter curare ferite più o meno profonde, pile di ricambio per le due torce, piccolo cannocchiale, bastone bianco, pile di ricambio per protesi acustiche,… Anche se non si tratta di un peso esorbitante quando si viaggia con uno zaino in spalla ogni ettogrammo in più fa la differenza, soprattutto se sono previsti percorsi a piedi, spostamenti in città per cercare l’albergo appena si arriva, …

Sono arrivato ad Agadir nel tardo pomeriggio.
Troppo presto per non muovermi dall’albergo, troppo tardi per non considerare la possibilità di perdermi nella città e non riuscire a rientrare prima del buio.
Ho deciso che valeva la pena tentare. Nella peggiore delle ipotesi avrei preso un taxi.
Mentre mi dirigevo verso la spiaggia, ho cercato di memorizzare alcuni angoli, palazzi, cartelli pubblicitari, in modo da avere in testa una sorta di mappa.
Preventivando che avrei potuto dover ripercorrere la strada a ritroso con una diversa condizione di luce ho cercato di focalizzarmi su arredi urbani che avrei potuto individuare anche nell’oscurità.
Quando ci si muove per la prima volta in un posto che non si conosce, l’orientamento viene anche dal tipo di visuale che la nostra memoria ricorda.

Ah, mi ricordo questo viale con la moschea sullo sfondo!!

Ma un ipovedente, ripassando per la stessa strada con il buio non vede la moschea sullo sfondo e non sa che la strada è la stessa che ha già percorso.
E’ necessario memorizzare oggetti a breve distanze e provare a capire se saranno illuminati anche nell’oscurità, verificando la vicinanza dei fari stradali.
Quello che per un normo vedente è una passeggiata verso la spiaggia, per un ipovedente è una sorta di percorso alla Poliicino.
Dopo aver mangiato un tajine di pesce sulla spiaggia, ammirando il tramonto, mi sono affrettato verso l’albergo e stava andando tutto bene fino all’ultima curva, quando ho imboccato la strada sbagliata.
Agadir di sera è molto buia e pericolosa, ma non perché ci sia malavita quanto perché ci sono buche, gradini, motorini, biciclette, sassi e gente.
Ho chiesto indicazioni e mi rispondevano tutti in francese. Io non so il francese.
I gentili marocchini che mi indicavano la strada gesticolavano con le mani per mimare le direzioni, ma io potevo soltanto guardare le labbra per cercare di intuire le parole o guardare le mani per capire la direzione. In altre parole dovevo chiedere indicazioni ogni 50 metri e ad ogni incrocio.
Ma ce l’ho fatta.

A Marrakech è andata molto meglio.
Ho conosciuto un omone simpatico che mi ha in qualche modo incastrato per farmi da guida nella città.
Lo fanno con tutti i turisti. Cercano di guadagnarsi la giornata e spesso ci riescono.
A me piace moltissimo perdermi per le vie di una città e Marrakech ha una medina che si presta proprio a perdersi. Non c’è verso di non perdersi. E’ un vero e proprio labirinto, ma il bello è proprio questo. Scoprirla in base al proprio fiuto e alla direzione che decidono i piedi.
Tuttavia a Marrakech sfrecciano biciclette e motorini tra i passanti ad una velocità inaudita. Se non si sta sempre attenti a chi arriva e a chi sopraggiunge da dietro, potrebbe essere pericoloso.
In un posto così avere una guida e comunque una persona che si prende cura di me è stato fondamentale.
Hassan mi ha preso letteralmente per mano per tutto il pomeriggio e mi ha portato ovunque indicandomi tutti i gradini e tutti gli ostacoli. Oltre ad avermi accompagnato per la città, raccontato qualcosa su di lui, la sua famiglia e la sua gente, mi ha fatto divertire e si è preso cura di me.
Dargli una mancia mi è sembrato il minimo che potessi fare.

Anche a Boumaln Dades sono stato fortunato.
Per poter fare trekking nelle gole del Dades è necessario avere una guida del posto.
Non ci sono sentieri né indicazioni, bisogna semplicemente conoscere la zona.
Lhussein, un omone di 39 anni con 17 anni di esperienza come guida, non poteva essere che la guida migliore per me.
Mi indicava tutti i corsi d’acqua che dovevo saltare, le pietre che dovevo evitare, i rami quando dovevo abbassarmi. Io seguivo i suoi passi come se fossi la sua ombra e quando volevo dedicare un po’ di tempo ad ammirare il paesaggio mi fermavo per godermi il momento con la dovuta calma.
La cosa più sorprendente è stata che tutti coloro che mi hanno in qualche modo guidato, in città o in montagna, sembrava sapessero esattamente cosa vedevo e cosa non vedevo.
Sembrava che conoscessero la retinite pigmentosa e le sue conseguenze.

Dopo i 3 giorni di trekking ho preso un bus per dirigermi verso Merzouga, ai confini del deserto del Sahara.
Sul bus ho conosciuto Hassan e anche lui si è offerto di aiutarmi a destreggiarmi nell’agitazione delle città di Erfoud e Rissani.
Sono arrivato con lui all’ Auberge du Sud. Un Hotel meraviglioso dove non sarei mai riuscito ad arrivare da solo.
E’ una Kasbah a ridosso del deserto e per andare ad ammirare i colori della sabbia al tramonto ho dovuto soltanto salire in groppa ad un cammello e farmi portare tra le montagne di sabbia.
Il bello di trascorrere una notte nel deserto sta anche nell’ammirare le stelle che nei cieli del deserto dicono siano milioni e luminose.
Purtroppo io non le ho viste. Anzi ne ho vista una, che probabilmente non era nemmeno una stella ma Venere.
Ma la notte nel deserto è anche l’occasione per vedere l’alba e le sfumature di rosa della sabbia quando il sole fa capolino dietro le dune.

Ho dovuto chiedere aiuto in molte altre occasioni.
Per andare in bagno nella stazione dei bus, per ritrovare l’Hotel a Essaouira, per andare alla fermate del bus a Nkob, per salire le scale della Kasbah.
Alle volte è difficile, ma nella maggior parte dei casi nessuno mi ha fatto domande nè mostrato perplessità, semplicemente mi hanno aiutato.
Nessuno si è approfittato di me o ha cercato di derubarmi e non mi sono mai sentito in pericolo se non una volta a Jemaa el-Fnaa, la piazza di Marrakech, dove ho sbagliato strada, ero stanco, stressato e un po’ triste quando ho fatto un frontale con un cavallo.
SI sono spaventati tutti. Anch’io.
Per fortuna non si è spaventato il cavallo, che si è fermato, ha nitrito un po’ ed è ripartito.

E’ chiaro che un racconto di viaggio non può ridursi a qualche paragrafo, ma ho voluto soltanto raccogliere qualche episodio ed esempio concreto per dimostrare come spesso sia l’idea a far più paura della realtà.
Io stesso ero molto teso prima di partire, ma una volta sul posto diventa tutto quasi scontato. Come se le soluzioni venissero prima dei problemi.
E’ vero che non mi sono mai spinto oltre i limiti e che ho dovuto rinunciare a certe uscite serali non avendo nessuno che mi potesse accompagnare, ma ho anche imparato a godere di quello che posso avere.
Anche in silenzio nella mia stanza d’albergo, ad ascoltare le voci che vengono dalla strada, la preghiera del muezzin che irrompe nella notte, il profumo della carne di capra, il canto degli uccelli al mattino presto sul tetto di un Riad della medina.
Un viaggio è fatto di piccoli dettagli e per coglierli non è necessario fare quello che fanno gli altri o che qualcuno ti ha detto di fare. Ognuno viaggia a modo suo.
Io viaggio così, anche da solo e senza fare nulla, viaggio solo perché sono steso in un letto nel cuore di Marrakech e nessuno sa che sono lì, che penso e sogno e scrivo.
Scrivo una storia che un giorno potrò raccontare.

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