Il dolore e la tristezza passano dagli occhi

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24 novembre 2020

A prescindere dalla quantità di lacrime e dalla frequenza con cui si piange – c’è chi lo fa spesso, chi non sa cosa voglia dire versare una lacrima, chi si commuove solo durante un film o per quello che succede agli altri – piangiamo quando siamo felici e allo stesso modo quando siamo arrabbiati, tristi, emozionati o stanchi.
Possibile?
Una cosa, poi, è certa: tutti abbiamo pianto nella vita.

Perché si piange, dal punto di vista fisico
Piangiamo a causa di un collegamento tra la porzione anteriore della corteccia cerebrale e il sistema limbico, sede della regolazione delle emozioni.
In poche parole, una forte emozione o uno stimolo esterno possono attivare il nostro sistema nervoso che a sua volta regola la lacrimazione.
Ed ecco dunque perché lasciarsi andare e fare un bel pianto non può che farci bene.

Ci sono due tipi di lacrime
Le lacrime possono arrivare per reazione o per cause emotive.
Le prime sono quelle che arrivano quando ci attaccano particelle esterne dannose, pensate a quando tagliate la cipolla o al classico moscerino che entra nell’occhio.
In questi casi le lacrime ci aiutano a espellere la sostanza dannosa.
Le seconde sono le lacrime che arrivano come reazione a una forte emozione quali tristezza o gioia.
In questo caso non solo si piange ma si hanno anche una serie di reazioni fisiologiche come il cuore che accelera, una maggiore sudorazione e la respirazione diventa irregolare.

Perché si piange? È un analgesico naturale
Il nostro corpo è un sistema perfetto.
Tanto perfetto che quando proviamo un’emozione forte e dolorosa, ci fornisce direttamente un analgesico naturale: le lacrime.
Il pianto emotivo infatti contiene più ormoni e tra questi anche un neurotrasmettitore chiamato leu-enkephalin che funziona come se fosse un antidolorifico e viene rilasciato quando il corpo subisce un forte stress.
Non a caso dopo un gran pianto ci si sente meglio.

Piangere ha una funzione sociale
Quando si piange e si soffre si torna un po’ bambini.
Il pianto del bambino infatti ha la funzione di richiamare l’attenzione della mamma perché possa fornire le cure necessarie a un suo bisogno.
Allo stesso modo il pianto dell’adulto assume una funzione relazionale poiché chiama il conforto altrui e solidifica le relazioni sociali.

Fin qui le nozioni.
In un periodo in cui per il progetto Color InSight stiamo trattando il tema del lutto, ci viene da chiederci perché il dolore passa dagli occhi.
Abbiamo appena detto che le lacrime hanno una funzione di analgesico naturale, ma gli occhi tristi non sono solo quelli di chi piange.

Nella sua espressione sul viso la tristezza può presentare intensità differenti riconoscibili in base a quanto sono marcate le espressioni del volto. Dal punto di vista della mimica facciale, compare sul volto nelle tre zone principali grazie all’attività delle sopracciglia, degli occhi e della bocca. La mimica della tristezza presenta: gli angoli interni delle sopracciglia sollevati; – la pelle scoperta sotto il sopracciglio forma un triangolo con l’angolo interno verso l’alto – la fronte appare lievemente corrugata per effetto del movimento delle sopracciglia – gli angoli della bocca sono piegati in giù.  La bocca potrebbe restare inespressiva in alcuni casi che possono portare l’osservatore a confondere la tristezza con il disgusto il disprezzo. Se non vengono utilizzati i muscoli della parte superiore del volto è probabile che la tristezza sia simulata a meno che la baseline di una persona o la sua mimica standard, non presentino già il coinvolgimento naturale delle aree tipiche nella mimica della tristezza. In questi casi l’osservazione diventa decisamente più complessa. Se l’intensità è lieve, l’unico vero indizio è rappresentato dalla piega della sopracciglia e della palpebra superiore, la pelle scoperta sotto il sopracciglio forma un triangolo con l’angolo interno verso l’alto.

E per chi non vede?

Sicuramente un cieco comunica la propria tristezza all’esterno nello stesso modo di una persona che vede, ma non è vero il contrario.
Un cieco non può vedere la tristezza sul volto di una persona sofferente.
Il linguaggio non verbale è una componente importante della comunicazione. Quando questa non e’ possibile e’ importante comunicare le proprie emozioni e la propria tristezza con le parole, magari semplicemente facendo passare la mano del cieco sul nostro volto per fagli capire che stiamo piangendo.

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