Un buon uso. Tre giorni in cammino nelle Foreste Casentinesi tra abilità umane e disabilità sensoriali

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14 agosto 2020

Di ritorno dal suo primo cammino con NoisyVision Onlus, Michele scrive: “vivere giornate a fianco di camminatori con disabilità sensoriali porta a fare i conti con andature inaspettate e a definire in modo più consapevole i contorni di una strada condivisa”. Con la sua prosa ricca di immagini di sè e di noi, Michele ci offre la sua testimonianza e un ritratto della poesia che ha vissuto.

Da Castagno d’Andrea al Monastero di Camaldoli. Nomi, luoghi, riferimenti su una carta verde fitta di linee rosse. La mano pronta e gentile di una guida a tracciare richiami nelle pieghe del ritmo differente di chi la segue. Sentieri, sassi, passaggi da interpretare lungo un crinale instabile. Passo ed eremo. Bandiera giallo-nera. Segni a indicare una strada tra le tante possibili in un piccolo ma profondo mare di faggi, abeti, aceri, olmi. Oscillando tra cartografia del territorio e geografia del cuore.
Undici persone in cammino come tante attraverso le migliaia di sentieri che tracciano i lineamenti meno vistosi ma più affascinanti di un’Italia resistenziale nel suo tortuoso e selvaggio nascondersi. Undici sfumature di passaggio – come tutti segni provvisori in transito – sulle tracce di richiami, umori, braccia unite per non perdersi e per domandarsi se un contatto può rendere più labile un muro e una parola più leggera la paura.
Undici persone in cammino per tre giorni nelle Foreste Casentinesi. Nulla di speciale se non fosse per le mani tese, le reciproche prese, il dubitare dove poggiare il piede, quando il sasso è troppo liscio o il sentiero si stringe all’improvviso. E poi verdi colonne a reggere archi di ombre, muschi grassi brulicanti d’insetti, tane e streghe nascoste nei boschi. Panini, borracce, mele fritte, scatolette. C’è chi chiede e chi presta, chi scruta e chi ringrazia, c’è la crisi, il sorriso, la testa bassa.
Undici persone in cammino. Sguardi ovviamente diversi sul reale, ovviamente mutevoli nel definire la sagoma di monti di monaci e pastori o il rumore contraddittorio dei rami sotto i piedi. Tra questi sguardi pure il mio, molto incerto nel passo e nella messa a fuoco del sentiero. Sguardo a volte affaticato, a volte diffidente verso se stesso, altre timoroso, altre ancora d’istinto curioso.

Ma cosa vedi? Come vedi? Chi sente davvero questo inquieto e splendido brillare di una luna d’inizio agosto?

Camminando da Castagno d’Andrea al Monastero di Camaldoli non ho trovato una risposta. Ma di certo ho colto un’opportunità: vivere giornate a fianco di camminatori con disabilità sensoriali porta a fare i conti con andature inaspettate e a definire in modo più consapevole i contorni di una strada condivisa. Con l’attenzione rivolta a compagni di viaggio – ad amici – che chiedono un supporto per immaginare quello che puoi indicare, raccontare, metabolizzare unendo le forze; e ancor di più le reciproche debolezze.
Con un conforto che arriva dalla necessità di essere elemento d’equilibrio è possibile allenare uno sguardo più profondo e osservare con meno timore e più curiosità gli infiniti spazi al di là dei nostri e degli altrui confini. Definendo meglio la varietà del quotidiano, l’ansia di occhi bendati come codice di verità, il valore dell’abbraccio reciproco con chi si ha affianco, l’inciampo come chiosa illuminante del racconto di undici persone in cammino, necessariamente, fortunatamente, mano nella mano.
E magari, alla sera, sotto le volte di un piccolo chiostro silenzioso, ascoltandosi davvero – ciascuno sentendo l’altro come sa e come può – una volta tanto, ti pare di aver fatto un buon uso, semplice e profondo, di te stesso, degli altri e del mondo.

Michele Simoni

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