Quando il tatto diventa proibito.

1922

Avevo 18 anni quando mi hanno diagnosticato la Sindrome di Usher.
Ci sono voluti altrettanti anni per metabolizzare le conseguenze e comprendere che questa malattia è una delle principali cause di sordocecità.
Il livello di ipoacusia e ipovisione mi consente, ad oggi, una comunicazione ancora piuttosto normale, a parte quando non riesco a leggere il labiale o quando il volume degli apparecchi di teleocmunicazione non è adeguato.
Delle difficoltà che gli ipoacusici possono avere in questi giorni di pandemia da Coronavirus abbiamo scritto in questo articolo.
Oggi voglio parlare di tatto.
Per i sordociechi è un senso necessario per la comunicazione. Se non avete mai visto come si comunica in lingua dei segni tattile, potete guardare questo video.
Sicuramente per i sordociechi le restrizioni di isolamento sociale dovranno avere delle eccezioni, altrimenti non potrebbero comunicare in alcun modo.
Forse useranno i guanti, oppure si laveranno bene le mani.

Anche nel caso dei ciechi il problema è serio. Una stretta di mano, un abbraccio, un braccio per accompagnare, sono necessari per comunicare quello che non si vede.
Un cieco non può vedere un sorriso, che magari rassicura.
Al di la di questi casi, vorrei soffermarmi sull’importanza del tatto per tutti, visto che oggi è un senso proibito.
Non possiamo toccare le persone, qualcuno dice addirittura di mantenere la distanza anche dal proprio partner.
Se non vedere e non sentire comportano delle limitazioni considerevoli alla comunicazione, privarsi del tatto, e quindi del contatto comporta delle limitazioni notevoli alle relazioni.
E questo è decisamente più difficile. E’ dannoso.
Con il tatto si comunica alla sfera delle emozioni.
Il tatto consente la comunicazione silenziosa del bene (e del male).
I baci, gli abbracci, le carezze, sono gesti di contatto.
Lo sono anche i pugni e i calci.
Ma se le parole cattive possono fare più male di un pugno, non ci sono parole che sostituiscano una carezza.
Camminare mano nella mano, abbracciare la madre, il figlio, il compagno. Sono gesti quotidiani che trasmettono sensazioni.

Il calore del corpo che si trasferisce ad un altro corpo.

Come si fa a farne a meno?
Quando possiamo durare senza?
Come possiamo fare per sopravvivere a questa privazione?

Qualcuno si chiede se sia stata peggio la Seconda Guerra Mondiale o se sia peggio il Coronavirus.
Anche quei pochi anziani che hanno il triste vanto di aver vissuto entrambe queste catastrofi dicono che ora sia peggio.
Le bombe distruggono, fanno rumore e sono lanciate da un nemico visibile.
Si sa chi odiare, con chi prendersela.
E se si ha la fortuna di sopravvivere si può contare sull’abbraccio confortante di chi ci vuole bene.
Il Coronavirus non solo è invisibile, ma ci costringe a diffidare di chiunque, a stare lontani e a non toccare nemmeno chi ci vuole bene.
Poco importa se abbiamo la pancia piena e gli scaffali sono ancora forniti di cibo.
Non possiamo riempire il cuore.
Che fare?
Dobbiamo cercare di riempirlo con altro calore, con quelle sensazioni che, per un po’, possono sostituire il contatto.
Il canto, per esempio.
Cantare scalda e fa sentire uniti.
E’ per questo che il flashmob dei canti dai balconi sta avendo cosi tanto successo, tanto da essere stato ripreso in tutto il mondo.
La poesia è un altro modo per scaldarsi.
Trasmette un’emozione che qualcuno ha provato prima di te e a distanza di anni, decenni o secoli è uguale alla tua. E ti senti meno solo.
La natura.
Se per ora non possiamo abbracciare le persone, possiamo abbracciare un albero. Accarezzare un fiore.
Magari qualcuno ha la fortuna di poter mettere i piedi in un torrente, carico di acqua fresca per il disgelo di questi giorni.

Tuttavia non si tratta di trovare dei sostituti agli abbracci, dei palliativi che ci diano l’illusione che si possa farne a meno.
Soprattutto agli Italiani.
I popoli che si abbracciano meno sono anche più freddi, più distaccati, mentre noi siamo più calorosi, appunto.
Ancora una volta, si tratta di calore.
Calore che passa da un corpo a un altro.
Calore, che dal sole, arriva a noi.

Allora se non è un canto, o una poesia a scaldarvi, cercate un raggio di sole, cercate un fuoco.
Fatevi scaldare dalla luce fino a quando potranno di nuovo scaldarci gli umani.

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