La stella cadente per un ipovedente.

1835

Mi ricordo le estati dell’infanzia. Sono ricordi sfocati, quasi di una vita non mia.
Ricordo qualche immagine, qualche scena sporadica, forse il volto di una ragazzina che cominciava a farmi sentire l’amore pulsare nel cuore e nel sesso.
Erano estati al mare, magari in campeggio.
Erano spiagge buie, forse un fuoco accesso lontano per non disturbare il buio.
Ero già questo nuovo uomo quando suonavano le chitarre.
Da bambino non c’erano canzoni.
Solo la musica di qualche piano bar sul lungomare. La radio a tutto volume dei ragazzacci un po’ più grandi, che magari non credevano alle stelle.
Io ci credevo.
Le aspettavo la notte di San Lorenzo con la stessa bramosia con cui aspettavo Babbo Natale, a cui non credevo già più.
Le aspettavo fino alla mezzanotte. Perché sapevo che sarebbero cadute.
Era nella loro caduta che dovevo credere.
A quella scia luminosa potevo attaccare un desiderio.
Non ricordo quante ne ho viste, nemmeno cosa ho desiderato. Magari qualcosa si é davvero avverato.
I desideri delle stelle durano solo una notte, forse nemmeno.
Durano soltanto per il tempo di quella luce.
Ora che ho la retinite pigmentosa non le posso vedere le stelle.
Non le vedo ferme nel cielo, non le vedo cadere.
Vorrei poter esprimere qualche desiderio, vorrei che qualcuno mi dicesse che vale anche se le vedono per te.
Questa volta la invento io la storia.
La invento per tutti coloro che incollano gli occhi al cielo e non vedono che notte.
Notti senza stelle, senza vie lattee, senza pianeti.
Notti forse meno espanse, meno enormi.
Noi non possiamo che immaginare il cielo come lo vediamo dentro di noi. Nei ricordi di bambini, nelle descrizioni altrui.
Non c’è niente che possa sostituire l’immensità del cielo, che senza stelle non ha misura. Noi non vediamo quanto può essere grande l’universo, non vediamo gli anni luce che ci separano da quei soli.
Siamo forse incapaci di guardare così lontano?
Le stelle sono l’unica misura dell’infinito, sono la visualizzazione dell’irraggiungibile, sono il sogno di altri mondi, di altre vite.
Vorrei vederne una cadere, e desiderare che attorno a quel sole ruoti una Terra migliore.
Vorrei desiderare che su quella Terra2, Terra3 o TerraX ci sia un altro me.
Vorrei che quel me vedesse il mio sole cadere e desiderasse, magari, di potermi incontrare.
Vorrei che mi dicesse come stanno davvero lo cose, vorrei che vedesse, che sentisse.
Mi farei raccontare ogni dettaglio, sarebbe il solo in grado di farmi sognare.
E tu, che su questa Terra puoi vedere le stelle, trovane una, guardala, aspetta.
Fosse anche per tutta la notte, aspetta che cada.
E quando accadrà, perché accadrà, prendi un desiderio tra i tanti e desideralo. Desideralo così forte  da far tremare il cielo.
Non sono triste perché io non lo posso fare.
Sono triste perché non saprai aspettare.
Noi che abbiamo la retinite pigmentosa non le vediamo le stelle cadenti.
Noi che siamo ipovedenti vorremmo soltanto avere il diritto di rubare il tempo di quel “L’ho vista!” per metterci il nostro desiderio, certi che nessuno si ricorderà di farlo, perché é già ora di aspettare la prossima stella.
Non sarà quella che guardi a cadere.
Ne cadrà una qualsiasi tra le migliaia del cielo.
La vedrai lo stesso nel tuo immenso campo visivo, per una notte grande come un planetario.
Non serve che desideri niente per me.
Devi solo far cadere una stella per me.

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